GROMO
Testo: Luca Bosio
Foto: Luca Bosio
IL NOME
Significa grumo di roccia, protuberanza emergente nel paesaggio. Il “gromo” – termine comune nella zona – è posto infatti in posizione cruciale, elevata sul fiume Serio. Secondo alcuni, il borgo avrebbe preso nome da una tribù di Celti, i Grumi.
LA STORIA
450 a.C., secondo alcuni storici sarebbero stati i Celti installatisi nella zona i primi a estrarre il ferro dalla roccia.
1000 d.C., in conflitto con il proprio casato a Bergamo, un membro della famiglia Ginami verso il Mille risale la Valle Seriana col suo seguito e prende possesso del luogo.
1080, in un documento sono nominate per la prima volta le miniere d’argento, chiamate Argenterie.
1226, il villaggio è concesso in feudo dall’imperatore Federico II alla famiglia ghibellina Ginami De Licini, che dà inizio alla costruzione del castello.
1267, il 12 febbraio si costituisce la “comunità del borgo di Gromo”, come sta scritto nella pergamena che riferisce la concessione dei privilegi comunali da parte della “Magnifica comunità di Bergamo”.
1428, Venezia sottrae Bergamo e le sue valli al ducato di Milano; l’industria delle armi, iniziata nel XII secolo, conosce sotto la Serenissima il periodo più fiorente: le fucine di Gromo fabbricano spade, pugnali, alabarde, insomma tutta l’industria delle armi bianche, fatte con l’azzale della Valle di Scalve.
1666, questa fiorente industria è messa in forte crisi dall’alluvione che distrugge case e officine lungo la Valle del fiume Goglio.
CHIESE ROMANICHE E VILLE LIBERTY
Vedere Gromo dall’alto dei pascoli e delle mulattiere, con le piode – i tetti d’ardesia – che la ricoprono come un duro e uniforme manto protettivo, non è sufficiente. Bisogna entrarci, in questo paese di montagna, e visitarlo con calma, per scoprire non solo la felice combinazione degli elementi – acqua, legname, aria buona – ma anche le ricchezze artistiche custodite da questa piccola comunità. La scenografica piazza Dante con il duecentesco Castello Ginami, il Palazzo Milesi (1443, ora Municipio) con l’elegante loggiato, l’archivio civico con le preziose pergamene, la chiesa di San Gregorio con la sua pala d’altare secentesca in cui è raffigurato il borgo com’era, sono solo la parte più visibile di un patrimonio che comprende anche le residenze private che sorgono lungo la via Milesi con i portali in pietra locale, i vicoli e le scalinate che percorrono la parte alta del centro storico. E ancora: la fontana centrale che porta in trono il cigno, stemma culturale; le numerose piccole fontanelle sparse qua e là; le raffinate inferriate delle secolari finestre poste sulle facciate delle residenze storiche; le ville liberty sorte ai primi del Novecento, quando Gromo diventa località di villeggiatura alla moda. Tutti questi elementi rendono l’antico borgo – costituito in comunità nel 1267 con atto rogato nel palazzo comunale di Bergamo – uno dei gioielli della montagna bergamasca. Ma ci resta ancora da vedere il monumento che meglio esprime la raffinatezza artistica raggiunta da questo borgo della Val Seriana grazie alla prosperità portata dalle sue fucine. Parliamo della chiesa di San Giacomo. Subito ci sorprende che la chiesa parrocchiale, diversamente dalla consuetudine che la pone nel nucleo urbano di fronte al palazzo municipale quasi a contrapporre il potere spirituale a quello temporale, a Gromo si trovi fuori del centro storico, lungo l’antica via di transito che prosegue verso l’alta valle. Tale collocazione aveva forse lo scopo di rendere la chiesa l’elemento unificante tra il nucleo urbano e le frazioni sparse nel territorio.
San Giacomo si presenta al fedele quasi accovacciata, nascosta, se non fosse per il campanile che le dà respiro. La sua struttura si è formata nel corso dei secoli, molto austera nelle sembianze esteriori, con un porticato in pietra locale e ingressi laterali, di cui il principale, posto lungo la facciata in lato sud, ornato da un portale in marmo bianco di forme classicheggianti. Di rilievo, al centro dell’architrave del portale, è lo stemma di Bernardino da Siena, santo predicatore presente a Bergamo e provincia nei primi anni del XV secolo.
L’interno della chiesa poi, contrariamente alla prima impressione che se ne ha dall’esterno, è uno scrigno che racchiude opere d’arte di sicuro interesse. Affreschi, tele e tavole con cornici lavorate, altari di legno e di marmo, statue, stucchi, organo e sagrestia, cantoria e stalli lignei, calici e candelabri finemente decorati, paramenti e reliquari, il fonte battesimale del 1511. Su tutto, spicca l’altare maggiore del 1645 con la sua profusione di oro.
IL PRODOTTO DEL BORGO
Innanzitutto la formaggella della Val Seriana, prodotta da latte vaccino generalmente con due mungiture. Nel locale caseificio si acquista anche lo stracchino, il cui latte di partenza è crudo.
IL PIATTO DEL BORGO
I casoncelli alla bergamasca. Solo a Gromo il Venerdì Santo si mangia la maiasa, una specie di torta fatta con farina gialla, cipolle e fichi secchi.